mercoledì 11 marzo 2020

Unità d'Italia e la sua organizzazione - New Allow



Risultato immagini per Piemontetizzazione  Il 14 Marzo 1861 avvenne la proclamazione del Regno D'Italia, che ebbe come re Vittorio Emanuele II e lo Statuto albertino come carta costituzionale. Lo stato concesso da Carlo Alberto nel 1848 attribuiva un ruolo centrale e molto forte alla monarchia: il re era capo dello Stato e comandante di tutte le forze di terra e di mare.   Il re era anche responsabile della politica estera e gli spettava di nominare tutte le cariche dello Stato, promulgare Leggi, emanare la giustizia e anche guidare il governo. La stessa funzione del Parlamento era soggetta alle decisioni del re, che aveva la facoltà di convocare e sciogliere le Camere, oltre al potere di propagarne le sessioni. Il governo, perciò, non aveva bisogno della fiducia del parlamento, ma doveva rispondere al suo operato soltanto al re. 

La prima questione da risolvere nella costruzione del nuovo Stato riguardava la scelta tra centralismo e decentramento. Giuseppe Ferrari l'aveva coraggiosamente avanzata nel 1860, quando, intervenendo al parlamento subalpino nel dibattito sulle modalità di annessione delle province meridionali, aveva invocato il sistema federale, poiché solo con esso si sarebbe garantita l'autonomia dei singoli Stati e impedito i danni che già stava provocando il sistema piemontese, con la sovrapposizione di uno Stato unitario a tutti gli altri Stati italiani. Anche Carlo Cattaneo, pur se fuori dal parlamento, non aveva mancato di far sentire il suo appoggio alla scelta dell'ordinamento federale, come si evince dal suo scritto nel luglio del 1860 a Francesco Crispi, che si trovava allora in Sicilia con Garibaldi.
Risultato immagini per Cavour
Camillo Benso conte di Cavour

Anche se fermi nell'avversione al federalismo, fino a quel momento Cavour e la maggior parte dei moderati avevano sempre guardato con fervore alle forme di self - government che si erano realizzate in Inghilterra e ritenevano opportuno introdurre anche in Italia un sistema politico - amministrativo fondato sul decentramento, che garantisse la salvaguardia delle identità regionali e delle autonomie locali. Luigi Carlo Farini e Marco Minghetti che, succedutisi al ministero dell'Interno tra il marzo e l'ottobre del 1860, si erano schierati a favore dell'introduzione del decentramento nell'ordinamento amministrativo dello Stato. Nel marzo del 1861 Minghetti presentò al parlamento quattro disegni di legge sul decentramento, di cui uno conteneva anche la proposta dell'istituto regionale, a causa della varietà notevolissima delle tradizioni, delle abitudini degli Stati preunitari, che rendeva particolarmente arduo il passaggio all'unificazione legislativa e civile. Non si arrivò, però, ad alcun risultato poiché emerse subito, tra le altre, la difficoltà di definire, sul piano concreto, quali dovessero essere le regioni: alcune sembravano troppo grandi, altre troppo piccole, mentre il Mezzogiorno, considerato come regione unica, era troppo ampio e impossibile da dividere in ambiti regionali per la mancanza di città che potessero diventare capoluoghi amministrativi.
Abbandonata definitivamente ogni ipotesi di decentramento amministrativo, tra l'ottobre e il novembre del 1861 furono emanati da Bettino Ricasoli, succeduto a Cavour dopo la sua improvvisa morte nel giungo precedente, una serie di decreti che segnarono un passaggio netto verso una struttura statale fortemente accentrata, realizzata mediante l'estensione a tutta l'Italia dell'ordinamento provinciale già applicato alla Lombardia. L'Italia fu divisa in 59 province, ognuna delle quali ebbe a capo un prefetto di nomina regia, che rappresentò lo strumento di cui si sarebbe servito il governo centrale per controllare tutta la vita locale, dall'ordine pubblico alla gestione dei lavori pubblici, alla sanità e all'istruzione.

Risultato immagini per PiemontetizzazionePer la legge elettorale fu esteso all'Italia il sistema elettorale maggioritario a due turni, fondato sul collegio uninominale. Per esercitare il diritto di voto era necessario essere maschi e cittadini italiani, avere almeno 25 anni, saper leggere e scrivere, pagare un'imposta annua non inferiore a 40 lire. Il limite di censo non era previsto per le categorie professionali che formavano le classi medie: nell'elenco dettagliato che accompagnava la legge erano inclusi laureati, professori, medici, geometri, farmacisti, ecc., tutti in possesso di "cognizioni sufficienti per potare un giudizio sulle opinioni ed il carattere dei candidati". Sulla base delle situazioni patrimoniali e della struttura socio - professionale dell'Italia di allora, solo l'1.9% dell'intera popolazione aveva i requisiti per esercitare il diritto di voto, cioè poco più di 400 mila italiani. Con questo sistema elettorale era rappresentata in parlamento solo una piccola parte della nazione.


Una rappresentatività di tipo diverso presiedeva alla formazione del Senato: la nomina dei suoi componenti, che restavano in carica a vita, non si fondavano sul principio della elettività ma spettava al re, che poteva però sceglierli solo all'interno di una seria di categorie rigidamente fissate dallo Statuto e che comprendevano i gradi più alti della burocrazia, dell'esercito e del clero. Il Senato, dunque, era controllato dal re attraverso la nomina di senatoria a lui fedeli, per i quali il primo obbligo era un costante sostegno delle prerogative regie. Inoltre, non era a numero chiuso, quindi, in caso di opposizione del Senato a progetti di legge già approvati dalla Camera, attraverso le cosiddette infornate di senatori governativi si riusciva a modificare la composizione del Senato a favore del governo.
Il Parlamento in realtà non era rappresentativo di una borghesia nazionale coesa e omogenea ma di diverse borghesie regionali. Il tentativo di unificarle, attraverso la piemontesizzazione, aveva solo reso più complicata la situazione. Con l'Unità, Cavour credette che la formazione di un mercato nazionale avrebbe consentito d'indirizzare la vita economica italiana sulle stesse linee che egli aveva tracciato per il Piemonte. Il primo obiettivo perseguito da Cavour in economia fu perciò l'abolizione delle barriere doganali tra il Piemonte e i singoli regni che via via si andavano aggregando al nuovo Stato. A essi vennero estese le tariffe piemontesi e la lira piemontese. la cui adozione fu resa definitiva nel 1862 con l'approvazione della legge di unificazione monetaria. Ciò, però, impedì di prevedere le conseguenze negative che l'abbassamento immediato di circa l'80% dei dazi protettivi avrebbero provocato in regioni, come quelle meridionali, dove le attività imprenditoriali si erano sviluppate soprattutto con la protezione doganale. Cavour era comunque convinto che la creazione del mercato nazionale e l'adozione di una politica economica liberista erano le condizioni per lo sviluppo degli scambi interni e per l'inserimento dell'Italia nel mercato internazionale.





















Fonte
Titolo: Storia D'Italia dall'Unità ad oggi               Autore: A. Lepre, C. Petraccone
Casa Editrice: Il Mulino

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